martedì, marzo 25, 2008

RECENSIONE
Non è un paese per vecchi

Naturalmente dire che è la riscossa dei Coen è la cosa più banale, anche se i due film precedenti, pur minori, avevano il loro senso di esistere. Non è un paese per vecchi, però, è tutt’altra storia: non è solo il ritorno al vero e proprio film di genere (considerato che Intolerable Cruelty e Ladykillers erano sì commedie, ma anche parodie), è anche un po’ un tirare le somme per i due fratelli di Minneapolis, un riflettere sul cinema, sia il loro che quello autoriale (o presunto tale) degli ultimi anni.
Infatti qua si ritorna dalle parti di Fargo e di Blood Simple, verso quei ritratti pessimistici e neri di una contemporaneità sempre più incontrollabile e insostenibile. Non è di certo distaccata, in ogni caso, la visione dei Coen: alla vicenda tratta dal bel racconto di McCarthy, i due applicano la loro morale e la loro condanna verso la deriva della cose, quel tanto che basta per non stravolgere gli intenti dello scrittore, ma anche per dotare il film di una sua forte autonomia. Ancora una volta sono le logiche del Fato a punire i peccati, senza però apparire come consolazione: il mondo è difficilmente recuperabile, il senso di vuoto e d’impotenza non può venir intaccato da nessuna piccola rivalsa (come l’incidente) perché in realtà è solo la dimostrazione che anche il più abile, scaltro e apparentemente fortunato degli uomini fallisce di fronte ad un ordine (o un caos) superiore. Non c’è etica che tenga.
Anche l’approccio verso la violenza, qui volutamente estremizzata per sottolineare un’insensibilità dilagante verso la morte che è propria dei nostri giorni e della nostra cultura (questo il significato dell’arma utilizzata da Anton e del racconto dello sceriffo su come vengono uccise le vacche), è prettamente funzionale al discorso e ci pone davanti ad un massacro infinito contro il quale nemmeno la disperazione di un “buono” riesce ad essere una motivazione abbastanza forte per provare a fermarlo. Ed è incredibile come questa crudeltà non diventi mai ricattatoria (le morti più disarmanti vengono lasciate fuori campo) perché è compito dello spettatore riavvicinarsi all’empatia, al dolore.
Qualunque sia la verità sul nostro mondo, una cosa sola è certa: il nostro tempo ha visto lo sgretolarsi di tutte le certezze e regole morali che ci siamo imposti di fronte al degenerare degli organi di informazione e di cultura, al ripetersi continuo di antichi errori, all’estrema difficoltà nel trovare figure di riferimento nel presente e nel passato recente.
A noi rimane un sogno di consolazione che a ben vedere è decisamente un sogno di sconfitta.